Decreto Catalfo , le perplessità degli avvocati
Le novità, i decreti, le circolari non sono una novità e anche in periodi critici sotto il profilo sanitario e politico non si fanno eccezioni, portando sempre sconforto e dubbi interpretativi come ci fanno presente anche gli avvocati che ci scrivono e di cui riportiamo un esempio.
IL DECRETO CATALFO
ALCUNE CONSIDERAZIONI E POSSIBILI PROBLEMATICHE
Avv. Alessandra Alice Zorzi – Foro di Padova
In attesa della pubblicazione del Decreto in Gazzetta Ufficiale, dobbiamo ammettere che si è aperto un varco per far rientrare negli aiuti economici a causa dell’emergenza COVID-19 anche le partite IVA che versano contributi alle Casse private, tra i quali, gli Avvocati.
L’indennità prevista per il mese di marzo 2020, pari ad euro 600, spetterà, dunque, ai colleghi aventi i seguenti requisiti: 1) essere in regola con i pagamenti verso la Cassa; 2a) aver percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo non superiore a 35 mila euro; 2b) nel caso in cui il reddito complessivo percepito nel 2018 sia tra i 35 mila ed i 50 mila euro, aver cessato, ridotto o sospeso l’attività di almeno il 33% nel primo trimestre 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, sempre a causa del virus COVID-19.
Cassa Forense, inoltre, ha sancito che delibererà circa le richieste pervenute in ordine cronologico, dal momento in cui sul sito sarà pubblicato l’apposito modulo nel sito.
Primo problema: moltissimi avvocati non sono in regola con i pagamenti, per il semplice motivo che la Cassa è “un tantino” esosa, e determinati contributi minimi sono uguali per tutti, indipendentemente dal fatturato. Quindi, la platea dei beneficiari si vedrà già ridotta in modo significativo.
Secondo problema: l’emergenza è scattata, per la Giustizia, nel mese di marzo. Moltissimi avvocati, nel primo trimestre 2019, possono avere ricevuto pagamenti che, nella maggior parte dei casi, erano relativi a precedenti procedimenti già in essere. Pertanto, il parametro della riduzione dell’attività del 33% con riferimento al primo trimestre 2020 rispetto ai primi 3 mesi del 2019, non è assolutamente adeguato.
Solo ora ci si trova davanti alla sospensione delle attività giudiziarie con udienze rinviate, termini per deposito atti sospesi, comportanti una oggettiva impossibilità di svolgere il proprio lavoro e, dunque, di ricevere il pagamento delle proprie spettanze, a causa del COVID-19.
Altro annoso problema riguarda la platea degli – ingiustamente – esclusi dalla possibilità di ricevere l’indennità: i giovani avvocati, iscritti dall’anno 2019 o dall’anno corrente, alla Cassa Forense.
Quando si è praticanti, non c’è possibilità di pagare la Cassa con varie scadenze mensili. Inoltre, in quell’annoso periodo, molto spesso non si riceve nulla o gran poco: la Cassa è un “lusso” che per i più è inarrivabile.
Quando si diventa, finalmente, un “Azzeccagarbugli” di diritto, ecco che scatta l’obbligo all’iscrizione: ed i contributi minimi, ripeto, rappresentano cifre importanti per chi è agli inizi. In ogni caso, ecco che costoro sono esclusi, in regola o meno con i pagamenti, da tali aiuti, in modo del tutto illogico e, in sostanza, addirittura discriminatorio.
Quanto poi, al criterio cronologico, che si traduce praticamente in “chi compila ed invia prima, prima riceve l’aiuto”, non solo appare insensato, ma idoneo a mandare letteralmente in tilt il sistema, che verrà quasi sicuramente bloccato da tutte le richieste che perverranno. E con buona pace di chi, magari in situazione di reale maggiore difficoltà, non potrà essere pronto per il click nei tempi record di una finale olimpica dei cento metri.
In questa situazione, che speriamo non si ripeta, 600 euro possono essere per molti un respiro vitale; per poter “andare avanti” con la propria professione e non solo.
Ora, una domanda sorge spontanea: in un momento di così grave incertezza, e alla luce delle risposte date dal Presidente di Cassa Forense le quali hanno sollevato non poche critiche da parte degli avvocati: può ancora sembrare corretto continuare una gestione delle risorse in questo modo?
Sicuramente, un eventuale cambiamento comporterebbe delle conseguenze inimmaginabili: epocali si potrebbe dire. Le casse separate hanno funzionato in ben altri momenti storici, specialmente quando gli avvocati non erano il numero attuale. C’è chi sostiene che il versamento dei contributi all’INPS non possa che essere l’unico modo per una vera tutela per tutti i professionisti, poiché l’INPS, ente pubblico, non dichiara profitti e si fonda su un patto di solidarietà fra generazioni, senza scopo di lucro. La Cassa deve invece rispondere a diverse dinamiche per il proprio funzionamento. Del resto, come ci è stato detto: “la Cassa non è lo Stato.” Ma in situazioni drammatiche, anche se imprevedibili (o proprio perché imprevedibili), chi dovrebbe tutelare i propri iscritti?
Iil dibattito su una eventuale centralizzazione dei contributi previdenziali è solo agli inizi. Già in anni passati si erano levate voci diverse. E’ verosimile che oggi le sentiremo ancora di più.