Esteri,Crisi Nato nel futuro post-pandemia: minaccia cinese crescente, pressione sulle forze Usa ed europei naïf e scrocconi
L’Alleanza è a un punto di svolta tra credibilità politica e incapacità militare. Il mondo sta cambiando rapidamente, e il messaggio che sta arrivando sia agli avversari che ai partner della Nato, è che gli alleati sono semplicemente troppo divisi, troppo deboli e convinti che i valori democratici da soli possano sostituire il potere militare.
Il mondo sta per entrare in un periodo di “geopolitica instabile” post-virus di Wuhan, ed è necessario considerare come l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato) si adatterà per affrontare sia la dilagante incertezza riguardo la leadership degli Stati Uniti, sia la crescente minaccia proveniente dalla politica estera del regime cinese.
Per comprendere appieno la portata della situazione è necessario analizzare le sfide interne ed esterne che la Nato ha dovuto affrontare negli ultimi tre anni e mezzo, coincidenti con la presidenza Trump, e la sempre crescente concorrenza strategica di Pechino.
Il presidente Trump ha minacciato di considerare un parziale ritiro degli Stati Uniti dalla Nato a meno che i Paesi alleati non siano disposti ad aumentare le proprie spese per la difesa. Negli ultimi giorni, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una significativa riduzione (30 per cento circa) delle truppe Usa dalla Germania, anche se finora questo piano è solo programmato, non è ancora certo che verrà attuato.
Nonostante la retorica di Trump, tuttavia, è degno di nota il fatto che l’impegno generale della difesa degli Stati Uniti verso l’Europa ha avuto un incremento solo durante la sua amministrazione. Seguendo questa linea la strategia di difesa nazionale del 2018 prevedeva il rafforzamento delle alleanze tra le principali priorità statunitensi.
Con l’escalation della tensione con la Cina la Nato si è ancora una volta dimostrata cruciale per gli interessi strategici e i valori democratici degli Stati Uniti.
Bisogna tenere in considerazione che mentre la Russia, sempre più attiva, rimarrà probabilmente la principale “occupazione di sicurezza” della Nato, la rivalità globale molto più ampia tra Cina e Stati Uniti potrebbe essere al centro degli equilibri geostrategici.
Mentre la pandemia “spazzava” il globo, la Cina ha sfruttato la distrazione da Covid-19 per intraprendere un’azione aggressiva con base soft e real power.
Le crescenti tensioni al confine tra militari cinesi e indiani; le notevoli e non previste problematiche a Hong Kong; un aumento dell’attività militare nelle vicinanze di Taiwan e le numerose navi da guerra che gli Stati Uniti hanno inviato per scoraggiare le operazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, sono la prova delle sfide alla sicurezza poste da Repubblica Popolare.
I membri europei della Nato, dal canto loro, stanno affrontando sfide sulla sicurezza sempre più difficili, dovute all’ascesa globale della Cina. Numerosi sono gli interessi cinesi in Europa, che determinano la crescente dipendenza economica di quest’ultima da Pechino.
Nel quadro generale vi sono le richieste per consentire a Huawei di accedere alle reti 5G del continente; la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, esposte dalla pandemia di Covid-19 nei confronti della Cina: è evidente, o dovrebbe esserlo, che Pechino sta creando seri rischi per i paesi membri della Nato.
Una potenziale alleanza strategica navale sino-russa nel teatro europeo potrebbe essere un ulteriore motivo di preoccupazione.
La Nato potrebbe contrastare efficacemente l’aggressione cinese, tenendo però presenti dei punti fermi:
– È improbabile che la Nato intervenga se non ritiene che i propri valori e interessi siano in pericolo, situazione che con la Cina non sarebbe da escludere a priori, considerando i suoi movimenti nei mari della Cina orientale e meridionale.
– Tutte le decisioni della Nato vengono prese attraverso il consenso comune, una condizione inevitabile che potrebbe rivelarsi un ostacolo all’intervento, perché non tutti gli alleati hanno le medesime percezioni e priorità. Tuttavia, come dimostrato dall’esempio della Libia, i membri potrebbero consentire che un Paese membro intervenga.
– La Nato tradizionalmente cerca il sostegno di stati e organizzazioni regionali prima di avviare un’operazione di gestione delle crisi, il che significa che una richiesta di assistenza da parte dei partner della Nato nell’area Asia-Pacifico è un fattore importante.
– La decisione di intervenire si baserebbe sulla capacità di organizzare un’operazione militare efficace. Sarebbe utile aumentare la presenza marittima dei singoli alleati nella regione Asia-Pacifico, consentendo l’interoperabilità con molte nazioni partner ufficiali della Nato.
– Come prassi, la Nato chiede che le sia riconosciuta la legittimità internazionale, in particolare un mandato delle Nazioni Unite per l’intervento in una crisi. Tuttavia, l’autorizzazione di intervento sarebbe improbabile a causa del veto di Pechino.
In questi giorni si sta sviluppando all’interno della Nato una discussione politica matura sulla Cina. Lo sconvolgimento globale causato dal Covid-19 non farà che accrescere i problemi, atteso che sarà difficile orientare l’opinione pubblica a maggiori spese militari a detrimento, forse, di quelle sanitarie.
A Bruxelles si comincia a ventilare la possibilità di un nuovo concetto strategico entro il 2030. Ciò perché, considerato quanto suddetto, la Nato deve essere in grado organizzarsi per dissuadere un potenziale avversario in una guerra mondiale di alto livello. Sarebbe opportuno iniziare a pensare di sostenere gli alleati in prima linea nel sud dell’Europa, affrontando le conseguenze di un crollo potenzialmente catastrofico in Medio Oriente e Nord Africa (MENA region). Nonostante i significativi ma modesti progressi nella difesa aerea e missilistica integrata, e dichiarati miglioramenti della capacità di deterrenza convenzionale dell’Alleanza durante la riunione dei ministri della difesa della scorsa settimana, l’Alleanza è a un punto di svolta tra credibilità politica e incapacità militare. La causa della crisi, perché è quello che sta rapidamente diventando, è duplice: una crescente pressione sulle forze statunitensi in tutto il mondo e un rifiuto degli europei di assumersi la maggior parte dell’onere per la propria difesa.
Dovrebbe da subito essere chiaro che la Nato è essenzialmente un’organizzazione europea, per gli europei, sostenuta da americani e canadesi, non un’organizzazione americana per gli europei, occasionalmente sostenuta da europei.
Sulla scia della fine della Guerra Fredda il centro di gravità dell’Alleanza si era spostato verso il dialogo, ora, forse deve riorientarsi verso la difesa militare.
Il mondo sta cambiando rapidamente, e il messaggio che sta arrivando sia agli avversari che ai partner della Nato, è che gli alleati sono semplicemente troppo divisi, troppo deboli e convinti che i valori democratici da soli possano sostituire il potere militare.
Troppi leader politici occidentali sembrano incapaci di capire la portata della minaccia emergente e le sue implicazioni per l’area euro-atlantica. Peggio ancora, la tendenza politica in molti Paesi alleati, Italia compresa, è quella di mantenere la difesa fuori dall’agenda politica. L’ascesa militare della Cina, il pericoloso mix di instabilità economica e politica in Russia, l’avanzamento di una nuova era di tecnologie militari, il cambiamento demografico, il fondamentalismo e stati “fragili” in tutta la MENA, e gli Stati Uniti sotto la crescente pressione interna ed esterna, suggeriscono che la Nato ha bisogno di adattarsi al nuovo mondo che sta prendendo forma intorno a lei.
Poi, c’è la “madre di tutte le domande”, visto il virus di Wuhan e la certezza che la strategia militare Nato del 2019 è stata gravemente compromessa dalla crisi, o almeno lo sarà. L’Alleanza (o meglio le sue nazioni) può continuare a riconoscere solo la minaccia che può permettersi politicamente, ed evitare tutte le sfide fondamentali senza cercare di affrontarle?
( Articolo di Generale Giuseppe Morabito da Atlantico Quotidiano del 26 giugno 2020 )