La contemporaneità di Frankenstein tra confinamento e speranza

In un anno mai così diverso, in questi mesi in cui si è assistito a un cambiamento repentino nel modo di vivere, niente sembra essere così attuale come la storia di Frankenstein. Questo “mostro” è figlio di una scrittrice e di un confinamento di essa, del coniuge e di altri amici dentro quattro mura; isolamento reso necessario dalle condizioni meteorologiche ostili di un luogo che rispecchia le caratteristiche del Romanticismo europeo.

La contemporaneità di Frankenstein tra confinamento e speranza

L’anno appena concluso è stato un anno anomalo. Un anno in cui si è assistito al confinamento di milioni di persone all’interno delle proprie case. Dove le feste sono state vissute in solitudine. Si sono assaporate esperienze non ordinarie, obbligati a un isolamento imposto da qualcosa d’infinitamente più piccolo dell’essere umano. Si sono scoperte tradizioni differenti, passatempi nuovi anche se antichi nell’animo. Durante quest’ultimo anno si è vissuta la riscoperta da parte di milioni di persone, “rinchiuse” in casa, della necessità del pensare. Del pensare come ragionamento e scoperta di un qualcosa dentro di noi. Si sono riscoperti hobbies, tradizioni e nuove necessità. 

Mesi, settimane o giorni di reclusione e confinamento dal mondo esterno hanno permesso a molte persone di riscoprire antichi piaceri. Alcuni hanno rispolverato il piacere del pensare come meditazione sulla propria vita e la propria esistenza. Altri hanno ritrovato la voglia di leggere, di scrivere, di dipingere, di studiare. Alcuni hanno rinvenuto dentro se stessi la propria strada smarrita da tempo; hanno rivalutato la loro vita dando a essa un significato nuovo. Alcuni hanno deciso di cambiare mestiere, altri sono stati obbligati a farlo. Si sono lasciati, si sono innamorati, si sono ritrovati. 

Questo confinamento, questa disgrazia avvenuta durante uno degli anni più funesti della storia occidentale contemporanea, ha inoltre portato i cittadini del mondo a capire l’importanza della natura. Una natura possente, che può spazzare via l’essere umano in due secondi. Da cui non si può scappare, perché tutto è immerso in essa. Una natura che però non è maligna. La natura è forte, infinita, possente, ma non maligna. Si assiste a una sorta di ritorno al periodo romantico.

Un nuovo Romanticismo nel quale si riscoprono valori propri del periodo storico che va dalla fine del Settecento all’Ottocento. Ci si ritrova isolati con pensieri che sono come palloncini che si sgonfiano e rilasciano i timori, le ansie, le speranze e le riscoperte di un periodo storico contemporaneo mai vissuto prima. Durante questa quarantena, più o meno obbligata, più o meno gestita da ciascuno, si  ridà importanza a qualità prossime a quelle dell’era romantica. Si ricerca qualcosa di più, qualcosa che va oltre il mero razionalismo. Si ricerca il rinnovamento, si dà nuova importanza all’immaginazione. 

Come durante il Romanticismo, in quest’era si assiste alla riscoperta dell’importanza dell’Io, dell’individualità, dell’interiorità di ogni essere umano. Si riscopre la religiosità, la spiritualità, il rapporto con una natura diversa. Una natura, possente e incommensurabile. Un paesaggio che ricalca i sentimenti di un uomo che è in cerca dell’infinito, dell’assoluto per divincolarsi da un mondo reale che sente stretto. Un paesaggio che rifugge la ragione, che è selvaggio, malinconico e misterioso. Il poeta Charles Baudelaire nel suo saggio Che cos’è il Romanticismo? del 1846, afferma infatti che il Romanticismo non è una questione di scelta di un soggetto a discapito di un altro, ma è una questione di “modo di sentire”. Il Romanticismo per il poeta non è ricercabile nel dato esteriore ma “è possibile trovarlo solo nell’interiorità”. In un’interiorità che è protagonista della riscoperta che avviene nell’Ottocento come in quella che avviene oggi. Un’interiorità che si svela involontariamente. Scoperta frutto di un isolamento forzato, opera di una natura immensa, infinita e misteriosa.

Nel periodo spettatore dell’affermarsi del pensiero romantico, si assiste alla nascita del romanzo capolavoro di Mary Shelley. Mary Wollstonecraft Godwin (successivamente Shelley. Nome acquisito in seguito al matrimonio contratto con Percy Bysshe Shelly) è una delle esponenti principali del Romanticismo letterario inglese. Il suo libro Frankenstein, è un esempio di questa corrente così innovativa per l’Ottocento e, allo stesso tempo, così vicina al periodo storico corrente. 

Il suo capolavoro può essere visto benissimo come figlio di uno dei giorni d’isolamento che il mondo ha vissuto in questi ultimi mesi. Le epoche storiche sono diverse, ma il contesto è simile. In due stagioni caratterizzate dalla riscoperta dell’Io, del sentimento e del misterioso, ci si ritrova confinati in uno spazio più o meno ristretto. Confinati per colpa di una natura che è possente e che con il suo vigore relega l’essere umano dentro quattro mura. Mary Shelley è in una situazione simile che abbozza il suo romanzo. 

Nel maggio del 1816, la sorellastra della scrittrice, Claire Clairmont, invita lei e il marito a Ginevra. Qui i coniugi Shelley si soffermano in compagnia di lord George Gordon Byron. Proprio durante questo soggiorno la scrittrice inizia la stesura del suo capolavoro. Quest’opera, come afferma l’accademica Adele D’Arcangelo nell’introduzione al libro edito da Giunti, è così “ispirata dalle numerose escursioni in barca e dai racconti di fantasmi che gli amici si narravano per trascorrere le serate”. Serate vissute all’interno delle mura nella villa Diodati, in “isolamento” dal resto del mondo e dalla natura inquieta che si scatena all’esterno. Un isolamento forzato dal tempo piovoso che costringe così gli ospiti a trovare e riscoprire dei passatempi diversi, quali l’invenzione di storie di fantasmi.

Da questo confinamento più o meno forzato ha origine un capolavoro che viene da tutti letto e studiato e che è simbolo di una corrente artistica e di un periodo storico molto vicino a quello odierno. Questo dà speranza, speranza in qualcosa di nuovo. Speranza che, nonostante il periodo atroce, le disgrazie, il dolore, l’anno appena concluso non abbia partorito solo mancanze, ma anche riflessioni, cambiamenti e prese di decisioni. Speranza che da queste riscoperte, se si vuole un po' romantiche, abbia preso vita qualcosa di buono. Speranza che qualcuno abbia preso le macerie e abbia dato a esse nuova vita, così come fece il dottore del libro. Perché come scrisse Mary Shelley nel suo capolavoro “l’invenzione non è una creazione dal nulla, bensì dal caos”.

Linda Lapersi