Coronavirus. Inosservanza dei provvedimenti resi dall’autorità: la contestazione dell’art. 650 c.p. è legittima?

Coronavirus. Inosservanza dei provvedimenti resi dall’autorità: la contestazione dell’art. 650 c.p. è legittima?

 

Firenze. 16 Marzo 2020. Come abbiamo più volte chiarito (https://www.aduc.it/articolo/reati+materia+coronavirus+spunti+difensivi+prassi_30822.php ), l’art. 650 del codice penale è un vero e proprio reato, sia pure non particolarmente grave, che prevede la sanzione dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a 206 euro per chi non rispetta un provvedimento reso dall’Autorità.
Il contenuto dei provvedimenti non è descritto dalla stessa fattispecie che si limita a richiamare generiche ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico o di igiene.
Così, in questi giorni di emergenza, è stato imposto a tutti i soggetti presenti sul territorio nazionale – sostanzialmente – di non uscire di casa e la disciplina che regola nel dettaglio i comportamenti degli individui è stata dettata con alcuni decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ci si chiede se questo non stoni con il principio di legalità che, espresso dall’art. 25 c. II della Costituzione, impone che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge.
In altre parole, la formazione della norma penale è riservata al Parlamento che, comunque, non può adottare una norma penale retroattiva.
Inoltre, il precetto deve essere chiaro, cioè ben determinato e tassativo e non può essere esteso per analogia, a discrezione del giudice.
Ma allora, le condotte di allontanamento senza necessità dalla propria abitazione non dovrebbero essere specificate da una legge? È legittimo che siano invece enucleate nei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri?
L’art. 650 c.p. configura una norma “in bianco” che deve essere “riempita” da un provvedimento che può avere carattere amministrativo.
La Corte Costituzionale non ha mai ritenuto illegittimo questo reato e si è ritenuto che “la materialità della contravvenzione è descritta tassativamente in tutti i suoi elementi costitutivi e si pone in essere col rifiuto cosciente e volontario di osservare un provvedimento dato nelle forme legali dall’autorità competente per sussistenti ragioni di giustizia, sicurezza, ordine pubblico, igiene” (sentenza n. 168 del 1971 Corte Costituzionale).
Ma quali sono i limiti?
Il provvedimento deve essere “legalmente dato” e, dunque, spetta al Giudice penale verificare se il provvedimento sia legittimo e sia stato emesso senza violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 8 del 1956 e, ex multis, Cass. Pen. Sez. I pen. n. 51458/2017).
Ma veniamo ai recenti Decreti urgenti. Si può dire che siano “legalmente dati”? Che abbiano un fondamento costituzionale?
Si può pensare di comprimere le libertà individuali fra le quali quella di esporsi o meno al virus? Quali diritti ed interessi debbono essere bilanciati? E soprattutto, per la violazione delle prescrizioni si può pensare di ricorrere ad una vera e propria sanzione penale?
Autorevoli giuristi (Cons. Massimiliano Noccelli www.giustizia-amministrativa.it) rinvengono il fondamento di tali provvedimenti nel diritto alla salute, garantito e tutelato dall’art. 32 della Costituzione dandone una lettura in chiave solidaristica e non tanto personalistica, anche alla luce dell’art. 2 della Costituzione.
In particolare: l’Autorità, nell’emanare provvedimenti restrittivi delle libertà individuali in materia sanitaria, deve bilanciare i diritti dell’individuo sia con quelli degli altri individui, sia con l’interesse superiore della collettività.
Per fare un esempio: la scelta – pur astrattamente legittima - di un individuo giovane di esporsi al nuovo virus nella speranza di contrarre una forma della malattia non particolarmente aggressiva, non può scavalcare lo stesso diritto dei soggetti deboli di non contrarre una malattia che nel loro caso avrebbe un alto rischio di mortalità.
D’altra parte vi è un evidente interesse sociale a mantenere in efficienza il Sistema Sanitario Nazionale che sta vivendo un momento senza precedenti.
Questo tema era già stato affrontato in materia di vaccinazione obbligatoria (come osserva ancora il Consigliere Massimo Noccelli). Invero la c.d. immunità di gregge si raggiunge solo se la quasi totalità dei consociati si sottopone al vaccino: la convinzione del singolo doveva essere superata da un dovere di solidarietà nei confronti dei soggetti più deboli che, per una qualsiasi ragione, non potevano essere vaccinati.
Era dunque indispensabile la tutela dell’interesse collettivo all’immunità.
Ma la scelta dell’autorità non può essere arbitraria e deve rispondere ad una legge di copertura scientifica: per poter imporre queste limitazioni sono necessarie delle evidenze scientifiche e il provvedimento adottato deve essere ragionevole.
In ogni caso, ovviamente, i provvedimenti possono essere censurati dal Giudice costituzionale (che giudica la compatibilità della legge con la Costituzione) o dal Giudice amministrativo (che valuta la legittimità della normativa secondaria e della singola decisione amministrativa), come – lo si ricorda – è avvenuto per altre “zone rosse”( https://www.aduc.it/comunicato/zone+rosse+firenze+accolto+ricorso+aduc+sentenza_29622.php) .
Allo stesso modo il Giudice Penale, nella sua discrezionalità indipendente, potrà valutare se ricorrano i presupposti di legittimità del provvedimento dato dall’autorità, quale presupposto per la contestazione del reato.
Mentre dunque i provvedimenti resi a livello nazionale sembrano avere una copertura normativa e costituzionale, almeno per il momento, restano da valutare tutte le situazioni in cui gli Enti locali abbiano adottato ordinanze autonome, magari eccessive, o in contrasto con i provvedimenti nazionali.
Invero, anche in questo caso la violazione delle ordinanze comunali potrebbe condurre ad una contestazione della fattispecie disciplinata dall’art. 650 c.p.
Pare dunque indispensabile il ruolo del Giudice Penale che dovrà valutare autonomamente e caso per caso, se l’esercizio dei poteri locali (per es. del Prefetto e del Sindaco) sia stato esercitato in un contesto di legittimità e se sia stato posto in essere in modo coordinato ed unitario con gli organi nazionali.
Si dovrà pur sempre verificare – nel caso singolo - se vi sia stato un superamento dei poteri legali.
In tempi di crisi ed emergenza occorre certamente tutelare le fasce deboli, ma è sempre indispensabile un controllo sul corretto esercizio dei poteri dell’Autorità, in ogni sede, anche giudiziale, affinché il diritto ispirato alla solidarietà non divenga un arbitrio ispirato al “diritto della paura” e non si trasformi in un grimaldello utilizzato per forzare i diritti costituzionali dell’individuo.

Fabio Clauser, legale, consulente Aduc