Digital kidnapping: il rischio estremo in rete
Il Digital kidnapping è ancora molto sconosciuto per questo vale la pena spiegare subito di cosa si tratta. Sicuramente avete quell’amica o parente che, non appena scopre di essere incinta, prima di tutto lo comunica sui social e, presa dall’entusiasmo e dalla felicità, dimentica che il messaggio non giunge solo ai destinatari che lei immagina, ma a tutta l’utenza globale della rete.
E non sappiamo chi c’è dall’altra parte della tastiera. Ovviamente la vostra amica vi farà sapere quando nasce il bambino, fornendovi la possibilità di avere il codice fiscale; saremo poi tenuti costantemente aggiornati su compleanni, eventi più o meno belli, magari facendovi sapere chi sono gli amichetti che partecipano. Apoteosi con il primo giorno di scuola, la prima comunione, la partita di calcetto o il primo saggio di danza.
Fermiamoci un attimo a pensare: ad un bambino di pochi anni, la mamma, spalleggiata da nonne, zie, amiche, ha costruito un’identità digitale. Un bambino non è ancora in grado di parlare, tantomeno leggere e scrivere, e qualcuno gli sta garantendo una presenza sui social condita da abbondanti fotografie.
Prese dalla smania di far vedere e celebrare i propri figli, queste mamme non riflettono sul fatto che la rete è un immenso oceano dove tutti possono pescare e che ha una memoria infinita. Inoltre, nel momento in cui una fotografia viene postata, chiunque se ne può impossessare e usarla come e quando deciderà. Quante foto di bambini vengono pubblicate in rete?
Uno studio americano del 2016 ipotizzava una media di 116 all’anno: addirittura ben il 90 % dei bambini al di sotto dei due anni negli Stati Uniti avrebbe almeno una foto sui social. Sono dati a cui possiamo credere e che lasciano pochi dubbi che possano essere validi anche in Italia. Ma di che cosa se ne può fare qualcuno di queste fotografie e di questi dati? Dati di cui, oltretutto, chi posta ne perde il controllo e il bambino, diretto interessato, non potrà mai averlo.
Insomma viene data la possibilità a qualsiasi utente della rete di usare l’identità di quel bambino.
Per che cosa? Alcune identità vengono vendute sul darkweb per giochi di ruolo: le foto vengono ripubblicate su account appositamente creati con hashtag quali #adoptionrp, #orphanrp e #babyrp. Insomma si corre il concreto rischio che il proprio figlio venga utilizzato facendolo interagire adulti o altri bambini. E’ possibile che venga inserito in un contesto familiare in cui più persone che possono essere coppie, fratelli o genitori e le immagini del bambino possono fare il giro della rete con una mamma e un papà diversi che potrebbero essere coinvolti nelle vicende che la fantasia dei rapitori o degli acquirenti di immagini decidono di fargli vivere.
Perché la definizione corretta è proprio quella di “rapimento digitale” o, più correttamente, “Digital Kidnapping.” Non è il classico furto di identità che avviene quando qualcuno si sostituisce alla sua ignara vittima per svuotargli il conto corrente o la carta di credito.
Il Digital Kidnapping consiste nel far propria l’identità di una persona per farne i più svariati usi. Da quello appena indicato di usarla in un gioco virtuale alla creazione di follower di un profilo fino al predisporre pacchetti che possono essere venduti a chi decide di usare un numero potenzialmente infinito di identità per incidere su sondaggi o preferenze che possono essere non solo quelli sul festival di Sanremo o il Grande Fratello, ma anche incidere sulle elezioni del prossimo presidente americano.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di ipotesi fantascientifiche, ma purtroppo la realtà li smentisce: ricordiamoci che hacker e pirati informatici hanno a loro disposizione non solo gli strumenti necessari e tutto il tempo necessario, ma hanno anche un numero infinito di complici che li aiutano ogni giorno e agevolano il loro lavoro: tutti coloro che postano foto e informazioni in rete.