Giovanni Paolo II, un papa per il terzo millennio
di Lucio Bergamaschi
“Non abbiate paura”. C’ero anch’io in piazza San Pietro quel 18 ottobre 1978 quando il papa venuto da lontano pronunciò queste parole che oggi risuonano profetiche. Era l’anno dei tre papi, l’anno del delitto Moro, del compromesso storico. L’anno che poneva di fatto termine al decennio della contestazione, del “tutto è politica”, della pandemia ideologica che tutto permeava e queste parole aprivano una stagione nuova in cui finalmente tornavano ad avere il giusto spazio le parole della fede, della trascendenza, dello spirito. Nei suoi 27 anni di pontificato San Giovanni Paolo II, di cui oggi giorno della sua morte ricorre la memoria liturgica, ha offerto un contributo straordinario alla riscossa di un occidente in crisi di identità dopo l’illusione rivoluzionaria marxista e gli eccessi di un terzomondismo di maniera riportando la chiesa cattolica al centro dello scenario globale. Karol Wojtyla ha anche gettato uno sguardo sul futuro con quella sua predilezione verso i giovani (peraltro pienamente ricambiata) che è andata crescendo man mano che invecchiava.
Cosa è rimasto di quella generazione di giovani tra cui mi metto anch’io e non solo per motivi anagrafici? Oggi la chiesa è dilaniata da un feroce conflitto tra modernità e tradizione, conflitto che il pontificato di Wojtyla aveva in qualche modo silenziato e che è riesploso con i suoi successori specialmente con papa Francesco. Sono convinto che solo ricentrando l’attenzione su Cristo e allontanando le sirene delle teologie politiche sia di “destra” che di “sinistra” si possa salvaguardare il bene supremo dell’unità della chiesa e fare in modo che essa continui a svolgere il suo ruolo universale di guida spirituale ma anche di promozione umana.
Quello che sta facendo Papa Francesco in questi giorni di pandemia Coronavirus mi sembra vada esattamente in questa direzione, una direzione che San Giovanni Paolo avrebbe certamente apprezzato.