L’ospedale in Fiera non aggiunge neanche un posto in più alle terapie intensive
«Quel paziente è la dimostrazione che l’ospedale in Fiera non aggiunge neanche un posto in più alle terapie intensive già presenti a Milano. Ci si limita a spostarle da un luogo ad un altro, in questo caso dicono che hanno portato in Fiera il personale della Mangiagalli (altra clinica gestita dal Policlinico, ndr)», continua il medico, dando voce a un malessere «molto diffuso tra i mei colleghi».
Un medico anonimo si sfoga così, con un budget non ancora preciso, perchè nell'emergenza si spende, i conti si fanno dopo..
L'annuncio era stato altisonante, «Entro sei giorni costruiremo un maxi polo da 600 posti, interamente dedicato ai pazienti Covid, nel quale lavoreranno almeno 500 medici e 1.200 infermieri»l'11 marzo, come dire, la Lombardia ce la può fare e ce l'ha fatto, obiettivamente la struttura opera.
Ma la carenza di medici e paramedici? Si era pensato di offrire posti letto al Piemonte in cambio dell'arrivo dei medici necessari, ma Cirio non ha voluto tenendo ben presente la difficoltà e ognuno pensa per sè.
Altri medici hanno preso posizione ufficialmente, cardiologo Giuseppe Bruschi, Dirigente Medico I livello dell’ospedale Niguarda, postava su Facebook: «L’idea di realizzare una terapia intensiva in Fiera non sta né in cielo né in terra… Una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’Ospedale. Una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre Strutture Complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un ospedale (dai laboratori alla radiologia, della farmacia agli approvvigionamenti, della microbiologia all’anatomia patologica); perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva necessitano della continua valutazione integrata di diverse figure professionali, non solo degli infermieri e dei rianimatori, ma degli infettivologi, dei neurologici, dei cardiologi, dei nefrologi e perfino dei chirurghi… Quindi per vivere una terapia intensiva ha bisogno di persone, di professionisti integrati nella loro attività quotidiana multi-disciplinare».
Insomma la buona volontà non basta: ci vogliono medici e attrezzature per fare il servizio, la comunicazione non basta.