Pestilenze ed epidemie dal libro “Il Linguaggio dell’Universo” di Cesarina Briante
Questo periodo così doloroso ci riporta a confrontarci col passato. I nostri avi hanno affrontato pestilenze ed epidemie, tra le ultime, in ordine di tempo, la pandemia definita “spagnola” che tra il 1918 e il 1920 fece un numero altissimo di morti, soprattutto giovani e adulti che, secondo la medicina dell’epoca, non presentavano patologie particolari. Secondo alcune stime, riportate anche dall’enciclopedia Treccani-on line, pare che nel mondo ci siano state oltre una decina di milioni di vittime con 200 milioni di contagiati. Il periodo bellico aveva imposto una censura sulla gravità della situazione, ma il popolo che viveva il rapporto con la malattia, col dolore comprendeva la situazione. La Spagna aveva una comunicazione meno ristretta in rapporto al resto dell’ Europa e riportava i dati con maggior ampiezza. Per questa sua apertura e l’informazione fornita, l’influenza venne definita “spagnola”.
La morte che può colpire anche i soggetti meno debilitati, che mette l’uomo nell’incertezza di essere la prossima vittima, suscita timore. Certe malattie a così ampia diffusione, non permettono di valutare chi può esserne vittima. Il confronto con la morte, specie nella prospettiva di essere affrontata soli con sé stessi, senza conforto, in un ambiente asettico, terrorizza. L’idea di sopravvivere alla morte attraverso l'anima è legata a una serie di rituali e usi religiosi che la rendono accettabile e densa di sacralità.
I SACRIFICI
La storia non è giunta a noi sempre integra, le ricostruzioni degli usi delle culture antiche sono il frutto di ricerche per lo più basate sui ritrovamenti archeologici, sulla filosofia delle epoche nata in seno all’antropologia. In molti casi le offerte di sangue e di vita erano legate a soggetti già defunti. La morte che non aveva spiegazione, che era separazione inaccettabile, diveniva sacra, si innalzava, aveva un senso nell’offerta agli Dei.
IL MEDIOEVO
In questi giorni mi viene da riflettere sulle opere definite”Danze macabre” come quella presente a Santa Maria in Binda a Nosate, sui dipinti raffiguranti gli scheletri come al Lazzaretto in Somma Lombardo.
La morte era, ai tempi il canto di giustizia dei popoli, nessuno si sottraeva da Essa, e non c’era titolo, ne soldi, ne potere in grado di corromperla. I corpi dei religiosi si consumavano perciò alla vista dei fedeli. Era un monito a soffocare le passioni terrene in favore di quelle celesti. A ricordare l’inutilità dei vanti del corpo e del materiale.
GLI ONORI
I popoli che spesso vengono definiti tribali o selvaggi avevano un culto profondo della morte. La ricorrenza di Halloween, è una rivisitazione degli antichi usi legati, un tempo, al periodo dedicato ai morti. Alcune abitudini, che ai più possono apparire macabre, come quella di banchettare sulle tombe, e ancora in uso presso alcune popolazioni, hanno avuto un profondo valore religioso.
Gli antichi Celti onoravano i defunti perché si pensava che tanto più grande era l’onore riportato al corpo tanto l’anima trovava pace. Anche gli egizi si facevano mummificare convinti che la conservazione dei corpi fosse di elevazione e immortalità per l’anima.
Questo pensiero ha trovato continuità nei millenni. Fino agli anni’50, i funerali vedevano ampia e solenne partecipazione ed erano circondati da un alone mistico di preghiera e gesti in cui venivano a essere coinvolte anche le prefiche. Le vittime della guerra, i dispersi sono ricordati nei monumenti commemorativi. Non vi è anima che vada dimenticata, intitolare una via a chi non c’è più indica la grandezza dell’anima di chi è rimasto. La nobiltà dell’anima si vede nel momento in cui si china il capo davanti alla morte. Anche davanti alla morte di chi ha idee diverse dalla nostra, di chi ci è stato antagonista, di chi ci ha fatto soffrire. Nessuno, neppure Michele Arcangelo si è sottratto a questo : “Chi è come Dio?” è stato il suo grido di battaglia.
Anche gli Dei tramandano il valore della vita, il culto della morte improntato al rispetto. Non dimentichiamo mai questo valore, chi ha vissuto nella sofferenza, chi ha vissuto le battaglie della vita e conosce il profondo valore del sacro, comprende il forte significato della sacralità del ricordo.
Il nostro paese si trovava, fino a qualche mese fa, diviso per idee politiche, per il valore della vita dato a uno o all’altro politico di turno. Davanti al dolore di questi giorni non possiamo che essere uniti. La vita non è fatta di odio, l’onore è alzare il capo alla Terra e lo sguardo all’infinito. Lode a tutti coloro che ci hanno preceduto, ai morti di questa nostra terra e ai nostri connazionali. Non c’è rancore nel ricordo, ne vittime più importanti di altre. Così come non c’è vita che abbia maggior valore di un’altra. Ricordare significa onorare tutti, riportare all’amore significa accettare anche il ricordo verso chi ci ha ferito. Parlare d’amore è semplice, viverlo è un’altra cosa. Oggi c’è il dolore di una terra che piange. Ogni morto di ogni luogo e tempo è sacro. Presto il Covid passerà, ma rimarranno parecchi cocci, tra quelli da raccogliere non vi sia l’odio, ricordiamoci tanto dell’amico quanto dell’antagonista, perché nessuno possa sostituirsi al divino, e il dolore per un padre, una madre o i figli è uguale per tutti…
Spunti tratti dal libro “Il Linguaggio dell’Universo” di Cesarina Briante di prossima pubblicazione ©- foto dell'autrice del 16-07-2017- Santa Maria in Binda