Detroit. Tra fiamme e rinascita

31 dicembre 1955. La General Motors infrange un record e si impone come una delle maggiori compagnie mondiali. Analizzando il suo bilancio emerge un dato storico. Nel 1955 la GM diventa la prima compagnia statunitense a superare il miliardo di dollari di fatturato annuo.

Detroit. Tra fiamme e rinascita
Veduta della città di Detroit

di Linda Lapersi

Detroit, città dove si trova il quartier generale dell’azienda, è centro di immigrazione e la città è in espansione. Da allora molte cose sono cambiate. Crisi, spopolamento della città e degrado cominciano ad affermarsi portando la città al collasso.

Nata nel 1908, appena fuori le strade cittadine di Detroit, la General Motors è a tutti gli effetti un esempio di colosso industriale statunitense. Multinazionale che ha contribuito a generare nella mente del mondo intero l’idea di un’economia statunitense infrangibile, solida e ineguagliabile. Simbolo di una nazione sempre più in crescita. Di un’economia che detta legge nel mondo intero. Simbolo di un benessere che sembra crescere di giorno in giorno e non arrestarsi mai.

Durante gli anni ruggenti la General Motors sposta il suo quartier generale dalla periferia alla città, o meglio, nella città simbolo di questa industria automobilistica irrefrenabile. Nella città che in quegli anni vede in questo settore industriale un’opportunità di crescita economica e demografica. Grazie anche a questo stabilimento, Detroit diventa un polo di attrazione per le maggiori aziende automobilistiche. La richiesta di manodopera nel decennio post bellico è talmente alta che la città diventa uno dei maggiori centri di immigrazione degli Stati Uniti d’America. Immigrazione non solo da altre città del Paese, ma da tutto il mondo. 

Si parla degli anni Cinquanta, gli anni del boom economico americano. Anni in cui si assiste all’incoronazione della General Motors come una delle maggiori aziende, non solo statunitensi, ma mondiali. Il Paese ha conquistato, negli anni del secondo conflitto mondiale e del successivo dopoguerra, un predominio industriale ed economico ineguagliabile. Per questo i colossi dell’industria, come la GM, si vedono costretti ad aumentare la mole di manodopera. Manovalanza necessaria per sopperire ai bisogni produttivi aziendali. Manodopera attinta da flussi migratori che partono sia dagli Stati della federazione, sia dagli Stati martoriati del Vecchio Continente. Persone che vedono in questa opportunità lavorativa un’occasione per raggiungere quel mito di sogno americano, creato e consolidato nella mente della gente. 

La città non è però nuova a flussi migratori possenti. Già negli anni del secondo conflitto mondiale la zona di Detroit attira a sé diversi migranti da tutto il territorio statunitense. Migranti che raggiungono la città per lavorare nell’industria bellica. Nella miriade di aziende belliche dislocate nella città che prende così il soprannome di “Arsenale di democrazia”. Migranti in parte bianchi, ma in maggioranza afroamericani. Provenienti frequentemente dagli Stati del sud. Migranti che lasciano dei territori del Paese dove la segregazione razziale è ancora potente, inseguendo un sogno di libertà e uguaglianza.
Questi flussi migratori interni si mischiano però, come detto, a flussi migratori provenienti soprattutto dal Vecchio Continente. Persone che negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale lasciano nazioni martoriate per inseguire anch’essi questo sogno di libertà, di benessere. Il sogno americano. Questa forte pressione migratoria incrementata, prima dalla crescente richiesta di manodopera nelle aziende belliche e successivamente nelle aziende automobilistiche della città, porta Detroit ad avere un aspetto multiculturale. 

Una città multietnica in espansione. Dove le case non sono mai abbastanza. Dove l’ampliamento riguarda quindi sia l’economia che il numero di nuovi abitanti e di nuove abitazioni. Ma come nella maggior parte delle città che assistono a un incremento di cittadini così importante, in questi anni si rende palese un fenomeno rilevante per i decenni futuri. Gli immigrati che raggiungono la città si insediano in zone ben stabilite. Si crea una sorta di mappa cittadina. Una pianta in cui ogni quartiere, ogni ghetto della città dei motori vede una certa predominanza etnica rispetto a un’altra.

Situazione usuale per una grande città degli Stati Uniti d’America in espansione. Situazione che però degenera negli anni avvenire. A partire dalla fine degli anni Sessanta. Da quando il mito di una crescita economica inarrestabile cade e si rompe in mille pezzi, sgretolandosi come la città stessa. Disgregandosi come la sua unità basata su un’economia in caduta libera. Sbriciolandosi come il sogno di quei migranti che hanno raggiunto Detroit, la terra promessa. Come le speranze nutrite in una terra di uguaglianza sociale ed economica.  Speranze di cittadini che ancora soffrono di una situazione di segregazione razziale, economica ed educativa vissuta nei territori del sud.

Durante questi anni di crescita economica e demografica i nuovi detroiters puntano a vivere in quartieri specifici. Quartieri in cui risiedono migranti provenienti dal loro stesso Stato di nascita. Una cartina molto dettagliata che descrive questo processo è infatti leggibile in uno dei maggiori musei cittadini, il Detroit Historical Museum. Si assiste a una sorta di ghettizzazione che crea tensioni. Tensioni dapprima nascoste dall’immagine di città industrializzata e ricca. Attriti che incominciano a svelarsi, con grande forza, durante gli anni della decrescita. Quando le crisi economiche cominciano a far sentire il loro peso sull’economia di una città basata sull’industria automobilistica. Una delle industrie, che in questi anni di recessione, accusa di più il colpo di queste crisi mondiali.

Quando le industrie cittadine incominciano a risentire di questa decrescita, hanno origine le difficoltà anche sul fronte sociale. I quartieri di cui si è parlato, quei ghetti, incominciano a caratterizzarsi come zone con forte componente di disagio sociale. Quartieri dove predomina la disoccupazione, la povertà economica ed educativa. Quartieri caratterizzati da scontri e rivolte sempre più forti. Dove la violenza è all’ordine del giorno. Violenza sia tra residenti, sia tra questi e forze dell’ordine. Quartieri dove risorgono vigorosamente quelle che erano le dinamiche di predominio razziale. 

Il crollo economico della General Motors e delle altre grandi aziende cittadine lascia alla città un’infinità di orfani. Orfani stremati dall’assenza di sussidi. Sfiniti dalla povertà derivata dallo stato di disoccupazione. Disoccupazione che crea quelle tensioni sociali che caratterizzano la città nei decenni di stagnazione economica. Orfani che, per la maggior parte, vengono individuati in quegli afroamericani che si sono riversati in città alla ricerca di una libertà e di uno stato di uguaglianza che ora sfugge dalle mani. Sono questi gli anni che vedono l’allontanamento dei bianchi dalla città, a favore di aree suburbane più ricche e tranquille. Anni in cui la città assiste a una forte predominanza di cittadini neri in città. Di cittadini disoccupati. Di cittadini che patiscono maggiormente le conseguenze di una crisi economica che sta diventando sempre di più sociale. In questi anni la città comincia a spopolarsi, le case vengono abbandonate e le famose foto di case fatiscenti incominciano ad apparire.

Quelle persone che negli anni Quaranta e Cinquanta sono scappate da uno stato di segregazione per inseguire un’opportunità, si ritrovano intrappolate in un nuovo, diverso stato di segregazione cittadina. Incominciano le prime grandi rivolte. La più famosa e dura di queste è la Ribellione di Detroit del 1967, chiamata anche Rivolta della 12th Street. Questa sommossa, una delle più cruente della storia degli Stati Uniti, accelera il processo di allontanamento dei cittadini bianchi dalla città verso zone più tranquille. Questo processo di distacco dalla città prosegue anche nei decenni successivi. Anni che vedono l’economia cittadina cadere a picco insieme alle crisi degli anni Settanta e del nuovo millennio.

La città sempre più desolata, disabitata è teatro di scontri sociali. Scontri derivati da una sempre più dilagante povertà dei cittadini rimasti. Cittadini rinchiusi in uno stato di nuova segregazione. Persone che non riescono a rompere il soffitto di cristallo per accedere a ruoli lavorativi ben pagati, più sicuri e di maggiore responsabilità. Confinati in settori lavorativi pesanti, pericolosi e caratterizzati da basso salario. Tipologie di lavoro, che con le crisi economiche di quei decenni, sono man mano scomparse. Questo nuovo tipo di segregazione abitativa porta a quegli scontri sociali che sono tuttora presenti, sì in quasi tutte le città americane, ma soprattutto in questa nuova disabitata, degradata città dei motori.
Fortunatamente uno spiraglio di luce si è aperto. Nonostante la bancarotta del 2013, la città a oggi sta rinascendo dalle ceneri delle sue case distrutte e bruciate. Dalle ceneri degli scontri sociali. Alcune aziende stanno tornando, ma non solo. Fondi sono stati stanziati per ricostruire il centro desolato.

Organizzazioni no profit si stanno adoperando per rendere la periferia - luogo di povertà educativa, di disoccupazione e scontri sociali - più vivibile per le nuove e vecchie generazioni. Si parla di centri culturali, artistici, di orti urbani, di progetti che prevedono la ristrutturazione di vecchie abitazioni abbandonate per adibirle a centri e ostelli. Una città che punta sulle proprie università per attirare nuove menti. Che punta sui musei, sui festivals di musica, di cinema e sugli eventi sportivi. Una città che sta risorgendo anche grazie allo sforzo di nuovi settori economici non caratterizzanti la sua storia passata. Come scrive Thomas J. Sugrue nel suo famoso libro The origins of the Urban Crisis. Race and inequality in postwar Detroit “In recent years, many Rustbelt cities, including Detroit, have turned to arts and culture, entertainment, and tourism to revitalized their economy”. 

Detroit ci sta riuscendo. Sta uscendo a piccoli passi da una situazione di estremo degrado e disgregazione sociale. Lo sta facendo puntando su nuovi settori, quali l’arte e la cultura. Arte e cultura che qui uniscono. Aiutano i ragazzi della città a trovare spazi dove passare il tempo al di fuori delle scuole. Aiutano i nuovi cittadini a incontrarsi e conoscere la città. Facilitano i vecchi cittadini a uscire, anche se lentamente, da un ambiente cupo e pervaso da scontri e difficoltà. 

La strada verso la rinascita è in salita, ma uno spiraglio di luce si vede. La meta da raggiungere è lontana ma qualcosa si è mosso. Il cambiamento è partito e quando un cambiamento positivo parte è difficile da arrestare. Quando si radica nella mente e nel cuore delle persone difficilmente lo si riesce a sradicare. Un nuovo modo di vivere è alla portata di tutti, basta non lasciarlo fuggire. Non farlo scappare dalle mani dei cittadini di Detroit, ma anche dalle mani dei cittadini di tutto il mondo. Mondo che ha davanti a sé un esempio di rinascita, di rinnovamento. Un esempio che può essere seguito per oltrepassare, anche se lentamente, quelle divisioni e scontri sociali di cui è impregnato.