Piazza Vittorio Emanuele II, la Stalingrado di Busto Arsizio.
Continuano "incessantemente" i lavori per cercare di ripristinare la piazza. Residenti e passanti rassegnati.
Non è una foto di Stalingrado nel 1943 ma Piazza Vittorio Emanuele II a Busto Arsizio. Dovrebbe essere ridata alla popolazione a settembre, ma per ora è ancora un cantiere con mucchi di cubetti di porfido e la sede stradale sterrata, che la fanno sembrare più un quartiere bombardato che il "salone degli eventi", immaginato da chi la ha progettata. Non è neppure necessario deviare il traffico, come pare abbia fatto una gentile e simpatica persona, esasperata dai lavori infiniti, spostando un paio di transenne. Le macchine non ci passano proprio ma nemmeno i pedoni. I bustocchi, abituati a lamentarsi anche quando le cose vanno bene, figuriamoci quando vanno male, ci stanno andando giù pesanti alla grande. Gli argomenti sono angoscianti: dalle fontane che non hanno mai funzionato, al parcheggio sotterraneo promesso e mai fatto, alla sede stradale che cede e pare rompa le tubazioni sottostanti, fino al trasferimento del monumento ai caduti in Piazza Trento, cosa che non va giù a molti, passando per alberi piantati e poi morti, ripiantati davanti a lampioni che dovrebbero illuminare la piazza e, per finire, alle fioriere ritenute un’aggiunta posticcia, che non centrerebbe niente con l’arredo urbano. Impressioni raccolte qua e là, senza entrare nel merito dell’investimento immobiliare, ma qualcuno ha il coraggio di farlo,, con un mucchio di appartamenti invenduti e meno male che almeno bar e pizzeria sembrano funzionare. Ma qui si crea anche il problema delle bande di ragazzi e ragazze, ormai abituati a scorazzare, spesso ubriachi per non dire altro, nonostante gli interventi della Forza Pubblica, che sappiamo tutti ha le mani legate. Che fare? Aspettare. Queste storie, raccolte tra la gente, si sistemeranno l’un l’altra come i bolognini di uno squinternato pavé. Vero è che chi vive sperando spesso muore… “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un arma contro la rassegnazione,la paura e l’omertà – scriveva Peppino Impastato , il giornalista siciliano ucciso dalla Mafia – all’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano prima quei luoghi, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. “ Vale anche per le piazze, o le piazze sono un’altra cosa.