Quei colpi, un vero e proprio agguato
L’autopsia ha rivelato numerose lesioni in varie parti del corpo. Hanno infierito a lungo su Willy
Ci sono volute tre ore per stabilire che la morte di Willy è stata una vera e propria esecuzione. Altro che omicidio preterintenzionale. I colpi della ferocia, riscontrati in più parti del corpo del povero ragazzo, dimostrano che su di lui si è addirittura infierito, altro che colpo accidentale, dovuto a una rissa e andato al di là delle intenzioni. Una vita spezzata a soli 21 anni è sempre una tragedia. In questi casi, oltre a esprimere vicinanza alla famiglia, occorre riflettere a fondo sull’accaduto per definirne la gravità. La furia del branco è stata inaudita, un’aggressione contro un ragazzo mite e gentile di cui occorrerà capire meglio la dinamica dei fatti attraverso i giornali e tutti i mezzi di informazione a disposizione. Della lettura che viene fatta, forse ancora incompleta, ci colpisce un elemento che ci sembra non sia colto fino in fondo: l’assoluta indifferenza di chi ha assistito a ciò che accadeva senza intervenire. In secondo luogo, ciò su cui riflettere è l'accusa rivolta ai quattro autori dell'omicidio. Se tutto quello che, di ora in ora stiamo apprendendo dai risultati dell’autopsia, fosse confermato, il quadro diverrebbe più grave di quanto apparso in un primo momento. Almeno due degli aggressori risultano essere esperti di discipline di combattimento. Pensare che abbiano infierito per venti minuti su una persona sapendo dove colpire per infliggere il massimo danno possibile, fa pensare a una esecuzione più che a un omicidio preterintenzionale. Inoltre risulta anomalo aver scelto come vittima un ragazzo estraneo alla rissa, anche se il movente razzista è stato escluso fin dai primi passi delle indagini, la cosa fa riflettere Si parlato di Willy come se si fosse trovato “al posto sbagliato nel momento sbagliato". La lettura però potrebbe essere reversibile. Non sono i quattro o cinque energumeni arrivati sul posto, ad aver occupato uno spazio non loro? Dove doveva stare Willy l’altra notte, se non con i suoi amici di abituali? Perché non ha potuto continuare a vivere la sua uscita tranquillamente? Avrebbe dovuto isolarsi da tutti? Naturalmente respingiamo la lettura opposta, quella che vorrebbe che tutti coloro che praticano discipline di combattimento siano potenziali assassini. Ci auguriamo di no. Tali affermazioni appaiono come scorciatoie per non affrontate una questione spinosa, ovvero che le persone indagate come assassini sono giovani intrisi di una subcultura machista e violenta. Una subcultura che prospera, spesso incontrastata, non solo nelle periferie metropolitane ma evidentemente anche nei piccoli centri, su cui occorrerà porre una maggiore attenzione. Una diffusione del fenomeno che è pericoloso ignorare o minimizzare. E a questo non sono estranee le movide sempre più violente, l’abuso di alcol e sostanze, lo sprezzo per l’altro e via dicendo. Vengono in mente numerosi episodi, non ultimo, il ferimento di Casal Palocco, che ha condannato Manuel Bortuzzo in carrozzina. Anche in questo caso, le belve feroci sono tornate sul luogo della rissa, hanno pensato a lungo all’azione da mettere in piedi, così come i quattro di Artena, arrivati col Suv forse già consapevoli della rissa in corso. Non è difficile pensare di trovarsi davanti a un omicidio volontario con probabili aggravanti di odio razziale, eseguito con ferocia e lucida determinazione da giovani adusi a trovarsi in tali contesti. Questo dovrebbe richiamare tutti alle proprie responsabilità. La giustizia a formulare un'accusa più aderente ai fatti. I giornali ad approfondire i fatti e a sollevare un dibattito culturale sulle ragioni profonde che in questi anni hanno determinato episodi simili, magari dagli esiti meno tragici. Non basta neanche la lettura che lega questi fenomeni al disagio sociale. Spesso infatti, la stragrande maggioranza dei violenti vive esistenze prive di scosse, vite agiate magari non prive di vizi che hanno impedito a tali soggetti di maturare. Occorre che accanto alla verità sui fatti e a un giusto processo, ci sia una reazione culturale. Quanto accaduto dimostra ancora una volta che il germe della violenza è ben presente e conquista campo. Significa anche che, dove la cultura, l’impegno, le prospettive di futuro scemano, emergono sentimenti inumani. Ignorarlo sarebbe un errore gravissimo. Minimizzare sarebbe colpevole, la precondizione per rendere una comunità più fragile abbandonando il campo all'avanzata dei violenti e dei sopraffattori.