Startupper in azienda. Il nuovo libro di Roberto Battaglia

Le organizzazioni sono piene di persone con capacità imprenditoriali inespresse che non sempre trovano le condizioni adatte per rivelare pienamente il loro potenziale. 

Startupper in azienda. Il nuovo libro di Roberto Battaglia

La conseguenza? Nel migliore dei casi si adattano e fanno diligentemente quanto viene loro ordinato, per evitare di vedersi rallentata la carriera. Nei casi peggiori si rassegnano, demotivate fino alla frustrazione. In alcune situazioni arrivano a lasciare l'azienda.

E la cosa singolare è che qualche manager considera queste decisioni opportunità inaspettate (un irrequieto in meno da gestire), piuttosto che occasioni mancate e una perdita secca di capitale intangibile. Insomma, le aziende non rappresentano generalmente il posto ideale per fare lo startupper. La buona notizia è che un numero crescente di organizzazioni (anche fra quelle più tradizionali e regolate) si sta chiedendo come si possano gestire l'energia e l'intraprendenza interna senza ucciderle nella culla.

La tesi del libro è che si può diventare imprenditori all'interno di un’organizzazione senza doversi mettere in proprio. Servono due ingredienti: da un lato, aziende disponibili a creare e mettere a disposizione spazi di espressione non momentanei e persone pronte a occuparli con coraggio e impegno; dall'altro, pochi ma chiari meccanismi per gestire tali spazi e una cassetta degli attrezzi per trasformare problemi e sfide in soluzioni concrete. 

Oggi il mondo sta subendo enormi sconvolgimenti e cambiamenti ecologici, sociali, demografici, tecnologici. In  questo ambiente competitivo, caotico, turbolento e in rapida evoluzione che è diventato la “nuova normalità”, le  organizzazioni stanno lottando per sopravvivere usando i metodi tradizionali di gestione e leadership: dall’alto verso il basso, lineari, guidati dal controllo, caratterizzati da ruoli e processi codificati e da una netta separazione fra pensiero ed esecuzione.

Ma il terreno è cambiato e la mappa non è più adeguata: in un’economia basata sulla conoscenza, questa concezione non regge più perché non tiene conto del talento, della creatività e dell’energia della maggior parte delle persone.

E se le persone sono, e saranno  sempre, decisive per costruire la competitività delle imprese, diventa fondamentale chiederci che tipo di persone serviranno alle aziende da qui in avanti.

C’è un fenomeno da tenere d’occhio ormai largamente confermato dagli studi sull’argomento: le generazioni più giovani (ma non solo) sono sempre più attratte dalle imprese che creano un impatto positivo nel mondo che le circonda e sono sempre meno soddisfatte da prospettive professionali lineari, rivendicando non solo il diritto al lavoro, ma a un lavoro non noioso.

Le persone di valore vogliono lavorare per realtà che sanno rinnovarsi, nei principi, negli stili, ma soprattutto nei processi e negli spazi di autonomia che mettono a disposizione. Per attrarre, formare, motivare questi talenti occorre allora ripensare i processi di innovazione, facendo leva sullo spirito di iniziativa e sulla capacità degli individui di lasciare un segno nell’ambiente dove lavorano. In altre parole, farli somigliare più a imprenditori che a “impiegati”.