Giannino Caccia, l'uomo delle vernici se ne è andato.

Sapeva cogliere il meglio di te stesso.

Giannino Caccia, l'uomo delle vernici se ne è andato.

E così se n’è andato. Ma non ne siamo sicuri. Forse per alcuni, per altri, molti, non sarà così. Se avesse incontrato uno scrittore, degno di questo nome, di quelli che poi fanno la storia della letteratura, sarebbe lì, nelle pagine di un libro o di un racconto, consegnato alle generazioni future. Sarebbe stato una bella fonte di ispirazione, una figura, non un personaggio, che sa troppo di cronaca mondana, non si addice alla sua modestia. Oggi, nella sua Sacconago, di cui tanto andava fiero, lo prendevo sempre in giro io, bustocco puro sangue, lui uomo del sud di Busto Arsizio, al quale chiedevo se gli avessero dato il passaporto per venire in città, è stato poeticamente definito l’uomo dei colori e questo ha commosso la gente che riempiva la chiesa. Per me invece è l’uomo delle vernici. C’è il Giannino di Sacconago. Quello della Filarmonica Santa Cecilia, che, quando mi chiedeva se mi era piaciuto il concerto, gli rispondevo: “Peccato che eravate sotto di un’ottava”. Lui mi guardava stupito del mio orecchio musicale. “ Sai la mia è una famiglia di musicisti, io ho molto orecchio.” E finiva con una vada via al … quando scopriva che me lo avevano detto i suoi. Quello delle mangiate a bruscitt e cassòla, quando si arrabbiava con me, veramente il termine era un altro, perché non avevo prenotato in tempo e quando si scusava perché: “balen, al custa un po’ di più, perché abbiamo più roba dell’altra volta”. Quello dei suoi figli Pietro, ottimo fotografo dilettante, che avrebbe potuto essere un professionista e che ne aveva preso la sensibilità e la bontà, Giovanna che aveva il suo sguardo deciso nelle risposte serie, ma con il suo fondo di bonaria ironia a cercare una via d’uscita che non offendesse l’altro. Quello della montagna. Quello dei nipoti, delle ragazze e dei ragazzi che, leggendo le loro lettere alla fine della messa, hanno commosso tutti e fatto capire cos’è un vero nonno. Vero, mi permetto di aggiungere, come tutti dovrebbero avere. Poi c’è il Giannino del negozio di Via Quintino Sella, di colori e vernici, dove penso ci sia passata, negli anni, quasi tutta Busto. Una istituzione per la sua professionalità e competenza, sin da quando aprì il suo primo negozio in quello slargo, dietro la Madonna in Prato, dove la piazza diventa via. Quanti anni sono passati quaranta, cinquanta chi se lo ricorda. Mi ricordo però di quando lo facevo diventare matto, perché avevo da pitturare la bicicletta o da fare qualche altro lavoro, al limite del possibile. Scuoteva la testa, ma poi subito era alla ricerca della soluzione e finiva sempre per chiedermi del “tu pa”. Non per sapere i fatti miei, ma perché da lì partiva tutta una serie di riflessioni che facevano di Giannino il fratello maggiore. Lui è l’uomo delle vernici, perché la vernice non copre quello che c’è sotto, lo lascia vedere in trasparenza. Giannino rendeva tutti più trasparenti, sapeva tirar fuori la parte migliore, più umana delle persone, quella che nella vita di tutti i giorni nascondiamo, presi dal capire di che colore siamo. Ciao, uomo delle vernici.