Emigrazione giovanile post-pandemia. Un treno in continua accelerazione

Quante volte si è sentito parlare di “fuga di cervelli”, di emigrazione giovanile? Quante volte si è parlato di giovani scappati per trovare un lavoro migliore o semplicemente nuove opportunità?

Emigrazione giovanile post-pandemia. Un treno in continua accelerazione

Quante volte si sono uditi discorsi in merito a questo scappare come scelta vincolata dalla situazione economica precaria? In continuazione si sente parlare e si parla di giovani costretti in contratti che li fanno sembrare dei circensi appesi a un filo. Questa situazione, a oggi, è una realtà assodata. Cosa succederà nell’era post-pandemia lungo lo stivale? Quali saranno i cambiamenti?

Omero nella sua Odissea scrive: “nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta” (Omero, Odissea). L’Odissea però è stata scritta secoli prima dell’avvento di Cristo e da allora molte cose sono cambiate. Questo attaccamento al Paese di origine da parte delle nuove generazioni di migranti sembra essere in parte svanito. Il legame con la Patria, con la terra natia è sempre più sfumato. In un mondo in cui il processo di globalizzazione sembra accelerare sempre di più, le nuove generazioni tendono a dare più importanza a valori diversi. I nuovi migranti italiani, in maggioranza giovani, cercano sempre di più la loro strada a costo di comprare un biglietto aereo di sola andata. L’importanza viene data al sogno da realizzare, alla possibilità di vivere e non di sopravvivere.

Sopravvivere molto spesso grazie ai genitori e ai nonni. Parenti che aiutano, ma che allo stesso tempo non possono avere una comprensione completa del vivere dei propri figli o nipoti. Parenti che a volte non riescono a concepire perché i figli preferiscano cercare altrove quello che non riescono a trovare qui. Figli, giovani, una generazione, che si trova avvolta da sabbie mobili che la soffocano. Da sabbie mobili che non sono altro che contratti al limite dell’umano. Situazioni che tacciono la voce a una generazione intera. Generazione che in molti casi ha voglia di parlare e partecipare.

Cosa succederà dopo la pandemia? Quale sarà il destino di questi flussi migratori? Non è sicuro che questa fuga aumenterà di portata, ma una supposizione la si può fare. La si può fare basandosi sulle testimonianze dei giovani che oggi più di prima si ritrovano incastrati in un sistema economico che li respinge e li espelle.

Accelererà la tendenza a emigrare per studio. Le università del mondo tenderanno sempre di più ad attrarre studenti qualificati per alzare il loro prestigio. Molti migreranno per fare carriera, per avere opportunità che non si riescono a trovare nella propria terra. 

Gli Stati, inoltre, cercheranno, ancor di più rispetto a prima, di attrarre migranti con un certo curriculum studiorum e lavorativo. Questo permetterà alla nazione di destinazione di arricchirsi di competenze necessarie a far ripartire l’economia.

D’altronde già nel 2012, nel famoso manuale “L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo”, si leggeva: “Oggigiorno, la concorrenza per attrarre capitale umano ha raggiunto livelli globali e molti paesi d’immigrazione hanno istituito sistemi d’entrata preferenziali, che con efficacia promuovono la libera circolazione per le persone con competenze nei campi di gestione, ingegneria, informatica, istruzione e medicina” (Mark J Miller, Stephen Castles, L' era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo, Odoya, 2012).

Un esempio lampante di questa logica è la grande discussa d’inizio 2021, la Brexit. La novità per i cittadini della comunità europea che vogliono raggiungere il Regno Unito per crearsi una nuova vita, è la necessità di avere in mano un contratto di lavoro che permetta di avere un reddito annuo di almeno 25.000 sterline. Al bando quindi lavori poco qualificati e accesso consentito a migranti altamente specializzati, a studenti brillanti, a lavoratori con “un certo grado di qualifica”.

Dopo quella che sarà la fine della pandemia iniziata nel 2020, si potrà assistere a flussi di giovani migranti laureati che partiranno dallo stivale per raggiungere mete più allettanti economicamente. Mete che non li costringono in manette fatte di contratti precari, di lavori a basso salario e di aiuti da parte di parenti. In  questo vaso contenente i nuovi cittadini in partenza si possono intravedere: neolaureati, giovani con ambizioni che il Paese non riesce a soddisfare, ma anche giovani che sono rientrati dall’estero dopo aver perso il lavoro per colpa della pandemia. Questi ultimi vorrebbero al più presto ripartire in quanto vedono maggiori opportunità al di là del confine nazionale. Questo nonostante la situazione di emergenza in corso.

Si parla di Anna, una ragazza appena trentenne, bilingue, che avendo perso il proprio lavoro durante questi mesi si ritrova a fare le consegne per un’azienda. Questa ragazza preferirebbe spendere le proprie competenze lavorative – acquisite nel corso di un decennio - in un Paese diverso. In una nazione che dà maggiori possibilità di carriera, perché come lei stessa ammette “qui mi sento sprecata e la situazione la vedo nera”. Si parla di Sara, un’altra ragazza, stavolta di ventisei anni, con il sogno di farsi una famiglia. Sogno però messo in pausa e accantonato. Perché come lei stessa dice: “Avessi la possibilità me ne andrei molto volentieri. Mi piacerebbe fare qualcosa di concreto, ma per ora questi rimangono sogni. Quando la situazione lavorativa migliorerà potrò pensare al futuro”. Si parla di Paolo e Veronica. Laureati rispettivamente in lingue e design. Questi ragazzi hanno perso il lavoro che svolgevano all’estero per colpa della situazione di emergenza; nonostante questo però si sentono pronti a ripartire appena possibile, in quanto vedono il proprio futuro “in uno Stato che dà la possibilità di usare il proprio titolo di studio”.

Sentendo queste testimonianze, la speranza è che qualcosa si possa muovere dopo la fine della pandemia, che molti lavori vengano regolarizzati. Si spera che diverse opportunità sorgano. Ci si augura che uno studente italiano non debba più chiedere scusa per aver scelto di continuare gli studi, che un laureato non debba vergognarsi di aver scelto lettere, scienze veterinarie o architettura, che un giovane non debba migrare per la mancanza di possibilità.

Possibilità di sopravvivere e soprattutto di vivere, di crearsi un futuro, di fare carriera, di fare famiglia. Si deve avere speranza, perché una nazione senza giovani è come una pozza d’acqua che ristagna, senza vita. Una pozza d’acqua che dovrebbe far proprie le capacità di ognuno per rinascere a fiume. Fiume che scorre, che muta e che porta con sé vita.


Linda Lapersi